Non solo è sano e naturale, ma fa bene anche all’intestino. A dirlo una ricerca dell’Università di Parma pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature Communications.

La ricerca, realizzata per comprendere le origini ecologiche e la composizione delle comunità microbiche che colonizzano il Parmigiano Reggiano, partecipando allo sviluppo delle sue caratteristiche organolettiche, ha dimostrato per la prima volta che il Parmigiano Reggiano svolge un importante ruolo di alimento funzionale nella dieta umana, in quanto vettore di ceppi microbici che arricchiscono il patrimonio batterico residente nel tratto gastrointestinale umano.

Lo studio è il primo lavoro che, grazie all’impiego di tecniche metagenomiche, fornisce una immagine molto dettagliata della composizione delle comunità batteriche, definite nel loro complesso microbiota, che risiedono nel Parmigiano Reggiano, mostrando l’esistenza sia di specie batteriche ubiquitarie sia di differenze legate al sito di produzione.

Il lavoro è stato condotto dal Laboratorio di Probiogenomica, Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale e ha visto la partecipazione di un gruppo di ricerca interamente dell’Ateneo di Parma, coordinato dal Prof. Marco Ventura e dalla Prof.ssa Francesca Turroni.

Questa ricerca, a differenza dei lavori fino ad ora pubblicati per lo più basati sull’impiego di tecniche di microbiologia classica, ha permesso di ricostruire in modo molto preciso il microbiota, ovvero le comunità batteriche, del Parmigiano Reggiano grazie a nuovi approcci scientifici.

Inoltre, i dati ottenuti hanno evidenziato l’esistenza di batteri che vengono trasmessi dal latte vaccino all’uomo attraverso l’alimentazione con Parmigiano Reggiano. Tra questi batteri che vengono trasmessi per via orizzontale ricadono anche alcune specie di bifidobatteri. I bifidobatteri sono microrganismi comunemente considerati capaci di espletare effetti salutistici sull’uomo (per questo definiti batteri probiotici).

Dunque, ora sappiamo che il Parmigiano Reggiano non solo ha un importante ruolo nutrizionale nella nostra dieta, come già ampiamente dimostrato, ma ha anche un importante potenziale effetto salutistico grazie al trasferimento di microrganismi in grado di modulare ed arricchire il microbiota intestinale dell’uomo.

Lo studio conferma la trasversalità delle ricerche che vengono eseguite presso l’Ateneo di Parma che in questo caso hanno coinvolto oltre al Laboratorio di Probiogenomica anche l’Unità di Microbiologia del Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie coordinato dalla Prof.ssa Maria Cristina Ossiprandi e dall’unità di pediatria del Microbiome Research Hub coordinata dal Prof. Sergio Bernasconi.